Come se non fossero bastati i numerosi scandali, bagarre politiche e difficoltà amministrative, che la hanno vessata negli ultimi tempi, Roma, avviatasi con un certo sollievo a chiudere un nero 2015, si è di recente contraddistinta come teatro di forti polemiche relative alle iniziative di Brand Design della Capitale e dello Stato del Vaticano, tutte puntualmente stroncate dalla critica e pesantemente commentate sui social in tutto il mondo.
Sia a causa della rinnovata diffusione e importanza del City Branding in Italia, sia per esorcizzare con leggerezza questa ecatombe grafica, si è deciso non solo di riprendere in rassegna i 5 loghi più discussi che sono stati creati nel 2015 per Roma, ma anche di inserirli in una “anti-classifica” per scoprire il marchio meno funzionale di tutti (non si parlerà infatti di bellezza, che è soggettiva), che dovrà sicuramente aspettarsi un po’ di carbone nella prossima calza della Befana.
5 – Roma 2024
Presentato il 14 dicembre 2015 di fronte a una folla gremita di bambini e giovani, il marchio di candidatura di Roma alle Olimpiadi 2024 rappresenta davvero tutte le speranze di una città uscita afflitta dal precedente ritiro dalla corsa dei giochi del 2020, per molti considerata praticamente vinta e che ha visto poi trionfare Tokyo.
Nonostante sia stato placidamente accolto dalla stampa, il marchio – ritraente una pista d’atletica che diventa un colosseo tricolore – ha sostanzialmente diviso gli esperti.
Usare il più famoso monumento romano – già presente anche nei marchi di “Roma2020” – e la bandiera italiana può senz’altro risultare una scelta scontata e didascalica, ma a non convincere è certamente il modo in cui questi elementi sono stati tradotti graficamente: un’icona leggermente cartoon, non priva di errori prospettici, senza un vero e proprio elemento distintivo e riconoscibile e vicina agli stilemi già visti nei marchi precedenti di Serie A Tim e CONI, di per loro abbastanza criticati.
A salvare questo design è il fatto che si tratta di un marchio di candidatura e non di quello che avrebbe la competizione romana in caso di vittoria: questo implicherebbe un più attento rebranding successivo, analogo a quello riuscitissimo di Torino2006, anche se non sopperisce alla mancanza totale di una grafica coordinata che avrebbe potuto segnare un forte distacco qualitativo rispetto le proposte degli altri candidati, molto approssimative e, nel caso parigino, inaccettabili.
4 – ROMA E IL LAZIO verso Expo 2015
Una delle particolarità più elogiabili dell’identità visiva della passata esposizione universale era certamente l’enorme possibilità di declinare nella grafica le sovrapposizioni cromatiche ideate da Andrea Puppa per il marchio della manifestazione: un vero peccato che si sia arrivati quasi a detestarle per l’abuso successivo che se ne è fatto: il marchio “ROMA E IL LAZIO verso Expo” non fa eccezione, nonostante non sia neanche uno dei peggiori della categoria.
Il problema principale è il lunghissimo titolo policromo che, anche in questo caso privo di caratteristiche distintive, ha visto aggiungere un azzurro e un blu navy ai già numerosi ciano, magenta e giallo; le imprecisioni delle campiture di colore sulle lettere “m” e “a” non fanno che rendere la composizione ancora più caotica e disordinata.
Una volta presentato, il marchio è stato utilizzato pochissimo, a tal punto da non essere riportato nemmeno sul sito dedicato alle iniziative che avrebbe dovuto rappresentare, sostituito dall’insieme dei loghi turistici e istituzionali della città e della regione.
3 – Giubileo della Misericordia
Ordinare i tre marchi sul podio è davvero difficoltoso, dal momento che tutti e tre hanno serie problematiche che fanno loro ambire alla medaglia più preziosa di questa classifica inversa; la maggiore clemenza è stata però concessa inaspettatamente ad un vero “anti-logo”: quello del Giubileo della Misericordia.
Chi lo ha chiamato logo, marchio o brand si è certo sbagliato: se già il suo disegno per niente ottimizzato per le piccole dimensioni e la palette cromatica vastissima lo incasellano direttamente fra le illustrazioni vettoriali da osservare necessariamente in grandi formati, l’assenza totale della parte letterale preclude qualsiasi collegamento con le parole sopra citate.
La problematica del bilinguismo italiano-latino è evidente: si è assistito a momenti in cui il titolo in italiano veniva abbinato al marchio con payoff in latino e vice-versa; la gravità di questa situazione è palpabile leggendo poi l’URL del sito internet ufficiale del giubileo, di base potenzialmente memorizzabile ma qui del tutto inaccessibile: www.iubilaeummisericordiae.va , link provvisto anche di una versione “ridotta”, www.im.va , comunque poco immediata.
Il fatto che il tutto sia stato ideato da un gesuita e non da un grafico non scagiona certo questo risultato, anzi, ma invita – almeno ora che ricorrono le Feste – a chiudere maggiormente un occhio su questo risultato, a discapito dei due marchi seguenti, generati da agenzie specializzate.
2 – ROME&YOU
Il logo italiano del 2015 più discusso a livello mondiale.
ROME&YOU, presentato lo scorso febbraio, non poteva certo mancare nella classifica; nato con lo scopo velleitario di creare un city-branding capace di competere e superare “I Love New York” di Milton Glaser, questo marchio ha finito per scontentare tutti – grafici, cittadini, italiani in generale, amanti della città – a tal punto da essere definito da Repubblica.it una “violenza contro la Città Eterna” e da scatenare un caso nazionale finito con una mozione bipartisan contro l’utilizzo del rebranding, poi fallita.
Si è cercato di unire un tocco classico a uno frizzante? Non si è riusciti in nessuno dei due casi, con l’effetto collaterale di svalutare il fiore all’occhiello della città: la sua storia.
Un vero peccato che non si sia pensato di portare a compimento quel dietrofront a cui, seppur con l’amaro in bocca, l’amministrazione romana aveva accennato il giorno stesso della presentazione: il marchio al giorno d’oggi è ancora presente sul sito turistico e, contrariamente a quanto doveva accadere inizialmente, anche su quello istituzionale; le applicazioni previste dal rebranding – l’unica cosa che avrebbe potuto palliare, con la propria ripetizione, l’insensatezza di queste scelte – non sono state rese infine effettive, quantomeno per i due siti web citati, con particolare attenzione per il matusalemmico sito istituzionale, nascosto da una splashpage essenziale e più moderna.
Menzione Speciale
Una menzione speciale dell’ultimo minuto va a Verso Expo 2015, marchio generato per rappresentare una serie di iniziative della Camera di Commercio di Roma: non solo il suo concept è tremendamente simile a quello di Roma 2024, ma è anche precedente a quest’ultimo, dal momento che si tratta di un marchio dello scorso febbraio.
1 – ROMA per il GIUBILEO
Gli antichi greci credevano che le colpe dei padri ricadessero sui figli per generazioni: questo è ciò che è accaduto con il marchio “ROMA per il GIUBILEO”.
Il legame con ROME&YOU è evidente, citato dai colori e dalle tre bollicine colorate, aggiunte quasi un fugace collegamento, più che per dare qualcosa di significativo e riconoscibile al marchio: ciò determina l’aggiunta dei problemi del “mother brand” direttamente a quelli, altrettanto gravi, del marchio derivato, condannandolo alla prima posizione.
Al posto di due lettere collegate in maniera così inaccettabile per un grafico si sarebbe potuto fare molto meglio: mantenere separate le lettere e lasciare solo il banale naming, come accaduto per “ROMA E IL LAZIO verso Expo”, o perfino pensare a una soluzione più pratica come “ROME&GIUBILEO” (di mia istantanea invenzione) che, magari riportata con il carattere graziato del logo a cui fa riferimento, sarebbe potuta essere una declinazione del marchio originale molto più elegante.
Conclusioni
Queste cinque posizioni ci invitano a ragionare su qualcosa di essenziale: è lecito fare branding sempre e comunque? Può essere vantaggioso trasformare, come nel caso della prima posizione, perfino un comitato in un marchio?
Possono sembrare domande retoriche, ma così non sono: negli anni dove tutto diventa un marchio, persone non informate incaricano persone inesperte per mansioni sempre più rilevanti, che ricadono pesantemente perfino sulla reputazione mondiale di una città intera, quasi come fossero di pertinenza di chiunque in possesso di un computer o di un programma particolare.
Fare city branding, poi, è come erigere un monumento al centro della città, riscrivere il ricordo e la visione di quest’ultima e non ci si può permettere di essere approssimativi:
non ci si può permettere di tentare il lancio di un marchio per poi acconsentire o meno a ritirarlo in caso di critiche;
non ci può permettere di mettere a repentaglio nemmeno per un secondo l’identità di una città o di un’intera nazione, come è purtroppo successo troppo spesso all’Italia, passata da un marchio all’altro a seconda di avvicendamenti politici e ora rappresentata da un logotipo riadattato, vecchio di trent’anni, non sviluppato.
Come l’Italia, così anche la sua capitale: l’auspicio per il prossimo anno e per quelli avvenire è sicuramente che ci possa essere una rinnovata fiducia nel ruolo guida estetica del designer, un miglioramento della situazione attuale, nonché un miglioramento futuro che parte dallo stesso principio che determina il progresso: non ripetere gli sbagli compiuti.