Bella, Brutta, funzionale o non: dalla notizia dell’introduzione del famoso “logo della primula” che accompagnerà la campagna italiana di vaccinazioni contro COVID-19, grande parte dei professionisti del design italiano si è voluta schierare in favore o contro l’opera dello studio dell’architetto Stefano Boeri, per la quale sono state spese molte parole, a volte anche troppe.

Al di là di qualsiasi concezione estetica legata alla resa grafica del marchio, del logotipo, della linea progettuale architettonica o ancora dell’impatto economico ed ecologico di quest’ultima, questo progetto ha avuto il grande potere di toccare nel profondo un popolo vessato dalla pandemia e di suscitare grandi emozioni polarizzanti.
La primula di Boeri rappresenta nella sua semplicità non solo un mezzo attraverso cui si è cercato di parlare alla sensibilità italiana, ma una vera e propria testimonianza dai tratti quasi sociologici di cosa significhi fare comunicazione per l’intero popolo italiano e come questo nostro approccio ci abbia resi un caso unico nell’ambito europeo (e non solo).
Per comprendere al meglio tutti questi aspetti – e dunque verificare se effettivamente la Primula abbia fallito o meno nel suo intento – oggi Pirati Grafici ha il grande piacere di ospitare una voce certamente fuori dal coro del design, ma illuminante per comprendere quanto il design stesso parli di noi come popolo e – più generalmente – come esseri umani: Gloria Venegoni.

Ricercatrice di Neuroscienze e Content Creator , Gloria ha iniziato un percorso accademico che la ha portata a ottenere il prestigioso master di ricerca in Neuroscienze Cognitive e Cliniche dell’Università di Maastricht, nei Paesi Bassi. Ha praticato la sua professione all’Istituto Neurologico Carlo Besta e ha portato avanti un proprio progetto di ricerca all’Università di Edimburgo, Scozia.
Se questo non bastasse già a descrivere Gloria come una di quelle perle nascoste che l’Italia ha inviato nel mondo, lo fanno certamente tutti i suoi “side-projects”: è attivista LGBTQ+, scrittrice per le testate 1977 Magazine Online e ID Italy di VICE ed è impegnata come Project Coordinator per una scuola elementare di Kumasi, Ghana.
Gloria è puntuale, informata, analitica, tagliente. Il suo occhio sulla realtà italiana e globale penetra la crosta superficiale dell’apparenza per restituire una visione d’insieme concreta, oggettiva ed essenziale.
Come un vino primitivo, il suo pezzo scritto per noi non troverà il favore di ogni palato, ma solo di quelli che – stanchi di bollicine e sapori piatti – vogliono andare in profondo, guardare al design come una materia dalla forte responsabilità civile incastonata in un più ampio dialogo pubblico, politico e sociale.
È senza dubbio la persona giusta per mettere un punto finale alla discussione sul marchio delle vaccinazioni anti-Covid e rispondere alla fatidica domanda: “La primula funziona o no?”
Lasciamo a lei la parola!
La primula e la chiamata alle armi in nome della grande bellezza e alla compassione. – Gloria Venegoni
Domenica 27 dicembre 2020 è stato il Vaccination Day Europeo, splendidamente coordinato dall’UE e atteso con sicuramente più trepidazione del prossimo turno di mondiali di calcio.
Ma ancora prima del Vaccination Day, in Italia si è cominciato a parlare del luogo fisico dove queste vaccinazioni avranno luogo: i padiglioni con la primula.

Ideati dall’architetto milanese Boeri e dal suo staff, questi padiglioni saranno costruiti in modo ecosostenibile, muniti di pannelli solari affinché siano energeticamente autosufficienti e muniti di una struttura in legno tale da poter essere facilmente smantellabili una volta esausto il loro compito.
Su ognuna di queste costruzioni concentriche, campeggerà la famigerata figura della primula rosa. La primula è il primo fiore a spuntare dopo i geli dell’inverno, rappresenta la forza di affrontare le avversità ed uscirne vincitori, sta a significare la capacità del paese di ritornare a sbocciare forte e bello come prima nonostante le avversità che ha dovuto affrontare.
Insomma, ogni persona dovrebbe identificarsi singolarmente in questo simbolo di supposta speranza e rinnovazione, ed al contempo immedesimarsi patriotticamente nella collettività che insieme come tante primule può far risbocciare il paese, esattamente come mostrato dalla cartina dello stivale su cui sono state piazzate tante primule in concomitanza dei diversi punti di vaccinazione nel video di presentazione del progetto.

Non c’è che dire, è un impasto interessante di psicologia spicciola da self-help book mischiata ad estetica quasi banale.
Prima di approdare alla scelta della primula come simbolo, si erano toccati vette di originalità quali il sole, l’abbraccio (forse quello della Mulino Bianco) e una mascherina con la croce (tocca ancora ricordare che la Costituzione definisce il presente stato come laico e la vaccinazione è rivolta all’intera popolazione italiana indipendentemente dal simbolo religioso in cui decide di identificarsi).
Viene chiesto quale dovrebbe essere l’impatto psicologico di questa sorta di fiorita chiamata alle armi degna di Woodstock, ma in realtà la risposta è piuttosto coincisa e semplice: nessuno.
Se davvero si è convinti che l’utilizzo di una campagna pubblicitaria improntata sul patetismo e l’utilizzo di un simbolismo di livello elementare riesca a combattere anni e anni di sfiducia nelle istituzioni e nel sapere scientifico, temo si siano sbagliati i calcoli.
Branding e packaging veicolano quotidianamente messaggi al consumatore e sono studiati fin nei minimi dettagli affinché quel messaggio sia esattamente quello sperato, ma in questo caso ci si è dimenticati totalmente della sfera intima a cui ci si rivolge attraverso questo messaggio.
Non si sta soltanto tentando di convincere l’utente ad affidarsi ad una certa azienda o ad acquistare un certo prodotto, si sta tentando di convincere l’indeciso che è necessario che si lasci vaccinare e che i pericoli in cui teme di incorrere sono chimere.
Non basta rendere accattivante l’outlook del padiglione per convincere l’italiano medio spaventato alla prospettiva di somministrarsi un nuovo vaccino nel proprio corpo.
E la panzana del risveglio collettivo non aiuterà di certo a dissuadere lo scettico.
Qui stiamo maneggiando preoccupazioni ancestrali, legate alla propria sopravvivenza, e diffidenze costruite in anni e anni di disinformazione e sistematica sfiducia istituzionale nei confronti dell’individuo stesso, che nel corso del tempo ha sempre più favorito una retorica volta ad un messaggio eclatante piuttosto che ad una condivisione di informazioni (e soluzioni) reali e pratiche.
Pensare che per convincere della necessità della vaccinazione basti il simbolismo spicciolo di un fiore e accusare gli individui sfibrati dalla solitudine appena mettono piede fuori di casa, vuol dire ridurne i traumi e le preoccupazioni ad un semplice capriccio, piuttosto che prestarvi orecchio.
L’impatto sul gregge e la fallacia dell’amore che ci salverà tutti.

Diciamolo onestamente, la primula come simbolo fa acqua perché fa leva su un messaggio che in questo caso ha già floppato clamorosamente quando ci si è affidati al buon senso e alla compassione dell’individuo medio (italiano e non) appena le restrizioni si sono allentate: l’amore per il prossimo.
Possiamo ripetere all’infinito di pensare ai propri anziani, di volgere i nostri sforzi verso coloro che verrebbero intaccati dalla nostra scelta di non vaccinarci rischiando di infettare noi stessi e loro (come, ad esempio, persone con sistemi immunitari deboli quali persone affette da tumori o HIV), facendo instancabilmente appello al buon cuore collettivo.
Ma non è grazie alla compassione che convinceremo una popolazione stremata da mesi di tagli alla propria libertà.
A meno che queste problematiche non tocchi loro direttamente sarà difficile convincere uno scettico a vaccinarsi. Non sarebbe nemmeno stata utile una campagna del terrore, simile a quella aizzata anni fa per contrastare il tabagismo con le immagini spaventose sui pacchetti di sigarette.

La verità è che utilizzare questa retorica che punta all’emozione piuttosto che all’informazione, non funziona.
Non è efficace perché l’essere umano tenderà sempre ad allontanare l’idea che quella catastrofe possa succedere a sé, evitando quindi di immedesimarsi. Ad eccezione di pochissimi, nessuno esce di casa pensando che il tasto che toccherà sull’ascensore, la maniglia della porta dell’edicola, o il sacchetto del panettiere sarà proprio il veicolo del contagio.
Le persone passano gran parte del proprio tempo a pensare che A me non succede.
Quindi il tentativo di muovere a compassione all’idea che loro o i loro cari possano cadere vittime non trova terreno fertile.
Per non parlare della fallacia cognitiva per cui tendiamo a raccogliere esclusivamente informazioni che confermano la tesi che abbiamo già intrinsecamente formulato.
In questo caso se si parte già scettici nei confronti del vaccino, si tenderà a prestare orecchio a coloro che ne accampano effetti collaterali o ne mettono in dubbio la sicurezza inventandosi biologhi, virologi, genetisti dell’ultim’ora.
Sarà solo portando contro argomentazioni specifiche, e facendo passare quelle in modo fruibile che si può riuscire a distogliere dalle convinzioni negative già create in partenza. E non è grazie ad una campagna volta alla commiserazione e al compatimento che si può sperare di ottenere questo risultato.
Ci siamo dimenticati di nuovo della forza di un’informazione chiara e non mistificata.

Ridursi poi all’estetica della primula, in questo momento tanto delicato, è tipicamente italiano: tutto puramente estetico e poco pratico.
La risposta alle incertezze innescate dal piano primula è spesso che “se l’avessero fatto nel nord Europa sarebbe stato acclamato”. Peccato che quel nord al quale ci si vuole tanto paragonare abbia deciso di favorire la praticità all’estetica, come gli è consueto.
Non c’è bisogno di creare pannelli smontabili ed ecosostenibili quando si sfruttano strutture già esistenti. Come non c’è bisogno di creare campagne imperniate di lacrimoso patetismo e velato rimprovero quando si decide di affrontare i dubbi degli scettici in modo metodico.
Siamo stati completamente disabituati ad affrontare gli argomenti scientifici con metodo. Anche in questo caso, la più pratica delle questioni diventa un concorso a chi impacchetta il messaggio nel più aesthetically pleasing dei modi, trovando bislacche connessioni con scritti di Pascoli e cantautorato nostrano.
La forza comunicativa degli inizi pandemia è evaporata, al solito, in un caos contraddittorio che sbaglia l’approccio con cui veicolare il messaggio.
L’estetica e la psicologia spicciola non possono curare i mesi di trauma e dissipare i dubbi di una popolazione stremata e disabituata a dare rilevanza ai dati scientifici. Ma questa primula dice anche qualcosa di noi come popolo.
Dopo aver preso la democratica decisione di rimettere la scelta di farsi vaccinare alla coscienza di ogni singolo concittadino, il Bel Paese si è deciso a sconfiggere lo scetticismo foraggiato da mesi di paura nel lockdown di casa e da sistemica diffidenza nei confronti del governo, mettendosi nelle mani di un architetto, sicuramente sapienti nel proprio ambito, ma probabilmente meno in quello scientifico.
Forse, quindi, più che lamentarci del dispendio di fondi per i padiglioni o l’imbarazzo di certi spot pubblicitari che dovrebbero essere emotivi, bisognerebbe domandarsi perché si é deciso di riciclare ancora una volta la retorica del bello e dell’amore al posto di affrontare la problematica per quello che é.
Ci si dovrebbe rifiutare, però, di accettare che ancora una volta si punti ad un messaggio imperniato su un’estetica senza sostanza e poco pratica per affrontare una crisi su diversi livelli di cui abbiamo visto solo gli inizi.
L’idea che passa è che l’intera collettività non sia capace di prestare orecchio all’intera comunità scientifica.
Gloria Venegoni