Nonostante l’influenza sempre più crescente dei leader di settore, Opera, web browser sviluppato da Opera Software ASA di Oslo sin dal 1995, ha avuto non solo la grande capacità di consolidare nell’ultimo decennio la propria percentuale di preferenze, ma perfino di ampliarla sensibilmente, passando dall’1,8% di user del 2007 al 3,7% dell’anno corrente (dati w3counter, studio sugli accessi di oltre 35.000 pagine web) e collocandosi stabilmente come quinta scelta degli internauti, servendone mensilmente 350 milioni: questa posizione di rilievo rispetto al panorama di software minori e – molto probabilmente – i festeggiamenti del ventesimo anniversario hanno spinto la casa produttrice a rilasciare, insieme all’ultimo browser desktop, una nuova identità grafica per Opera creata autonomamente in collaborazione con Anti (per il visual) e con DixonBaxi (per la strategia comunicativa).
Finalità principale di questo riposizionamento si può ritrovare nella promozione di quella che è sempre stata la caratteristica principale e più amata del browser: la velocità.
La grafica coordinata, in stretto dialogo con il marchio, risulta di grande importanza per apprendere al meglio la narrazione dietro a questo rebranding: flussi tridimensionali simili a reti, attraversando l’anello rosso del logo, vengono tinti del colore di quest’ultimo e trasformati in leggiadri panneggi che, secondo la lettura di alcuni, potrebbero ricordare i sipari di teatri d’opera.
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Secondo un’interpretazione personale determinata anche dalla clip di presentazione, il passaggio attraverso l’anello di Opera può alludere alla trasformazione di un’utilizzo di internet spento e privo di colore, in un’esperienza piena, emozionante, veloce e ricca di fascino: l’utilizzo di presenze materiche come quelle dei panneggi e dei colori purpurei rappresentano una grande novità all’interno del mondo dei browser che, negli ultimi periodi, si sono caratterizzati sempre maggiormente attraverso cromie accese (Microsoft Edge) o l’assenza di colore (Chrome).
(Per le immagini e alcune informazioni, si ringraziano i siti brandemia.org e underconsideration.com)
ioCommento
Opera è sempre stato un browser che mi ha molto affascinato e credo di non essere stato l’unico ad averlo scaricato una volta, averne saggiato le potenzialità e poi averlo accantonato, tornando al software precedente per questioni di abitudine.
Credo che uno dei principali problemi di questo programma, che non ne ha permesso mai l’enorme diffusione, sia l’incapacità dell’utente medio di sposare facilmente l’intero sistema “Opera”, serio e sintetico, di fronte alla presenza di alternative come Chrome, da subito impostosi per il suo fare amichevole, per i grandi margini di personalizzazione , per la sua allora originale capacità di cercare direttamente su Google attraverso la barra dell’url.
Le linee di azione per risolvere il divario appena descritto potevano essere molteplici: si poteva operare un totale cambiamento dei mood, ponendosi in coda alle principali concorrenti, o si poteva valorizzare le caratteristiche preesistenti per accentuare la distinzione da tutte le altre offerte; la seconda possibilità sarebbe stata in ogni caso la più fruttuosa per un rilancio del brand, ma la decisione finale di attuarla utilizzando il “fascino” come elemento comunicativo mi ha lasciato abbastanza perplesso.
Se, come detto all’inizio dell’articolo, la finalità del rebranding era quella di mettere in luce la velocità unica del browser, mi risulta davvero difficile comprendere il motivo per cui non si sia puntato unicamente su questa caratteristica e ci si sia soffermati così tanto sui panneggi, elementi rilassanti e sinuosi; lo sbilanciato e continuo alternarsi nel video di presentazione di scene lente (panneggi, lanterne cinesi, vita quotidiana) e veloci (città velocizzate, formula1, montagne russe) genera un contrasto poco apprezzabile, che va a sminuire la forza dello slogan finale, e una narrazione emozionale poco interessante, che ricorda quella di un’agenzia di viaggi.
Il “fascino” diventa quindi pregio e difetto dell’intero rebranding, caratterizzando fortemente il marchio dal punto di vista estetico, ma vanificando tutto l’intento comunicativo principale.
La “O” rossa diventa dunque uno dei pochi lati positivi della nuova identità di Opera, ma anch’essa non è priva certo di problemi: è sbilanciata a causa dal pesante nero del lettering, sporcata da un errore sulla “O” iniziale del naming che pare otticamente più fine delle altre lettere e risulta non del tutto armonica se allineata orizzontalmente con le molte circonferenze del nome completo.
Si potrebbe, per concludere, dire che questo rebranding, se non supportato da una gestione delle interfacce coerente, certamente non aiuterà Opera né ad avvicinare, né a superare i suoi storici avversari: secondo me gli darà piuttosto modo di ripresentarsi in maniera convinta al proprio affezionato pubblico di nicchia, continuamente minacciato dai fasti dei leader di mercato.