Sappiamo che i media italiani amano essere quelli che per primi arrivano sui luoghi del delitto, che fanno le dirette dai luoghi delle stragi, dalle case degli imputati o amano costruire lo spettacolo su qualsiasi fatto succede nel mondo. Il terrorismo mediatico è sempre in scena, 7 giorni su 7, 24 ore su 24.
I giornalisti italiani credono di fare informazione, ma spesso non sanno nemmeno cosa stanno traducendo. Nei giorni scorsi sul gruppo facebook “Wolf. Soluzioni per i professionisti della comunicazione”, ho visto pubblicato un post da parte di uno degli amministratori in cui raccontava di come i giornalisti italiani siano capaci di stravolgere la notizia solo per intercettare i click.
Il discorso vale per la strage di Nizza in cui i giornali francesi hanno dato la notizia con un tono composto, rifiutando di dare giudizi o di fare analisi affrettate. Al contrario i giornali italiani si sono sprecati nello scegliere titoli da terrorismo mediatico.
Stesso discorso per la recente strage di Monaco, in cui hanno perso la vita dei giovani ragazzi all’interno di un centro commerciale. Alberto Puliafito ha fatto notare la differente interpretazione della notizia data dallo Spiegel e da La Repubblica. Le differenze sono molteplici (sia nella traduzione sia nell’interpretazione della notizia).
Purtroppo, la stessa faccia della medaglia esiste anche nel mondo del marketing. Gli esempi si sprecano al riguardo. La satira o è drammatica o è letteraria. In entrambi i casi è sacra, anche quando sfiora il grottesco. Non lo è più quando entra nella sfera commerciale. Lì andrebbe censurata.
Al popolo degli internauti non scappa nulla e così non c’è bisogno di qualcuno che censuri la splendida uscita. Si genera un meccanismo per cui è attiva l’autocensura. Ed è quello che è successo a Groupalia con il terremoto dell’Emilia e, più recentemente, al noto settimanale Donna Moderna con la strage di Nizza.
Groupalia e il terremoto dell’Emilia
La mattina del 29 maggio del 2012, dopo che il terremoto aveva colpito per ben due volte la zona dell’Emilia seminando morti e numerosi feriti, la multinazionale specializzata nella vendita di servizi online decise che era ora di utilizzare la notizia per fare un po’ di marketing. Il post su Twitter citava esattamente testuali parole, seguite dal link con le offerte di viaggio.
Paura del terremoto? molliamo tutto e scappiamo a #SantoDomingo!
La rete non perdona
Nello stesso istante in cui è stato pubblicato il tweet, la notizia ha incominciato a girare in rete e le uniche cose che sono volate da parte degli utenti, sono state parole dure e insulti nei confronti della società. Così in pochi minuti, a fianco del trending topics del terremoto, è apparso quello di Groupalia. La società, non appena la situazione le è sfuggita di mano, ha provato a correre ai ripari chiedendo pubblicamente scusa e che non era loro intenzione offendere nessuno. Ma ormai era appena incominciata la giornata più nera e la rabbia degli utenti aveva appena incominciato a scatenarsi. Qualche minuto dopo (solo per qualche minuto), era apparso un altro tweet in cui la società diceva che avrebbe donato, per ogni pacchetto comprato nella giornata, 1 euro alla Croce Rossa italiana, ma solo per quel giorno. Ma questo tweet è stato magicamente fatto sparire dal feed e non ha fatto altro che aumentare la rabbia degli utenti.
Le scuse ufficiali
Alla fine per scongiurare un vero default dell’azienda, sono arrivate le scuse ufficiali da parte del rappresentante in Italia di Groupalia Andrea Gualtieri. Riporto le parole testuali.
Sono davvero costernato per quanto accaduto e chiedo scusa alla popolazione colpita dal sisma per averla offesa. Si è trattato di un gesto irresponsabile dettato principalmente da superficialità e inesperienza. La catastrofe che ha colpito la popolazione dell’Emilia Romagna non può e non deve ovviamente essere strumentalizzata; è una disgrazia che merita tutto il nostro rispetto.
Chissà se veramente l’azienda non ne sapeva niente di questa scelta del loro community manager. Una cosa è certa. Ha fatto una scelta ingrata che ha messo in imbarazzo i vertici e in crisi la reputazione dell’azienda.
DonnaModerna e la strage di Nizza
Per chi si fosse perso questo interessante capitolo non preoccupatevi, osservo, studio e vi riporto ogni cosa, sarò il vostro occhio di falco. Donna Moderna, come Groupalia, fa i suoi grandi errori social, ma poi la stessa direttrice di Donna Moderna scusandosi non fa altro che rafforzare il colpo contro il team social e della stessa strategia adottata.
Dalla strage di Nizza erano appena passate 48 ore quando la redazione di Donna Moderna decise che era il momento di costruire un sondaggio sui social che potesse dimostrare quanto l’orrore del terrorismo, ancora fresco nella mente degli utenti, avesse potuto intaccare i nostri pensieri e il nostro inconscio. Così è stato lanciato il sondaggio infelice con tanto di hashtag su Twitter in riferimento alla strage di Nizza.
Da Instabul a #strageNizza. Dopo gli ultimi attentati, cambierai meta per le vacanze?
Come per Groupalia il tweet entra subito nel circolo del trend e genera le prime reazioni. Volete sapere quali sono? Insulti, parole dure e sembrava davvero che tutta la redazione fosse fuori dal mondo. Nel frattempo (sondaggio in corso), in Turchia stava avvendendo il colpo di stato. Siccome poteva apparire indelicato (prima no, eh!) hanno deciso (chi, sarebbe bello scoprirlo!), che sarebbe stato meglio se il tweet venisse eliminato. Questa scelta ha generato ancor più malcontento. Le scuse, però, non arrivano.
Tra gli utenti c’è anche chi arriva ad ipotizzare che il direttore di Donna Moderna si debba dimettere, perché il metodo di lavoro utilizzato non è all’altezza del ruolo. Insomma, per farla breve, è scoppiato un vespaio come al solito.
Le scuse arrivano con un po’ di ritardo su Garage Donna Moderna, con un articolo che fa sollevare più dubbi che certezze. Capirete quanto inusuali siano queste scuse, che appaiono più come uno scarica barili, addossando le responsabilità al fatto che non ci sia un team social di professonisti e che tutti sono buoni a far tutto.
Le aziende e un’agenzia social
Dopo la figura “abbiamo fatto una cazzata” a buttarci nell’ambiente mediatico da breaking news, la direttrice di Donna Moderna ha evidenziato come all’interno del proprio staff, non sia presente un social team preperato e pronto ad occuparsi della gestione dei canali sociali. Ad occuparsene, quindi, sono gli stessi giornalisti. Non è possibile che un gruppo editoriale non abbia un team di persone preposte a seguire i canali sociali della community. La politica del tutti possono fare tutto (pur di risparmiare) in Italia dilaga, ma non è corretta e mette a dura prova la reputazione del brand. Chi come noi vive i social network, sa quanto sia difficile scegliere il tempismo giusto per pubblicare un contenuto, piuttosto che un altro. Avere un community manager a disposizione, vuol dire avere un filtro per i contenuti che si vogliono pubblicare, perché saggia l’aria e capisce che cosa si può fare in quel momento e cosa no. Diciamo che se per una redazione è fondamentale la revisione delle bozze del futuro giornale che dovrà essere stampato, per i social è necessaria la stessa attenzione. Avere un filtro sulle bozze dei post che si vogliono pubblicare è fondamentale. La gestione del social, come per la carta stampata/digitale, non può essere fatta con la pancia. Nel caso questo team social non ci fosse, è comunque importante che l’azienda si avvalga di strumenti che le permettano di programmare i post, per verificarne la “fattibilità” prima che essi vengano immessi nel feed delle notizie e degli utenti.
La lezione “sbagliando s’impara” in questa circostanza suona quanto mai pleonastica. Suona come una scusa per non ammettere un bisogno reale che serve a finalizzare un piano editoriale incominciato tre anni fa, parlando di redazione digitale. In un’ottica come questa, è fondamentale che ognuno faccia il proprio lavoro. I giornalisti devono scrivere gli articoli e non preoccuparsi di dover gestire anche la parte della comunicazione. Questa dev’essere affidata ai professionisti, perché per far social non basta saper leggere i report o saper accedere a quel social piuttosto che ad un altro. Saper lavorare nella comunicazione vuol dire gestire con dinamicità la strategia e non avere una stacità delle discussioni e dei contenuti. L’organizzazione, la lungimiranza e la reattività avrebbero risparmiato alla direttrice di Donna Moderna di dover chiedere scusa per tutti.