Sono sempre stata molto sensibile all’argomento tempo.
Il fatto di vedermelo strisciare intorno, nella sua rotta fredda e incontrovertibile, il suo saper restare graniticamente sordo ed estraneo pur calcando i miei passi e lucidando la mia fretta, il fatto che lui si comporti così, come qualcosa che non può riguardarmi e che invece poi mi riguarda più di tutte le altre, come il vento che non ha riguardo verso una vela ma che ineluttabilmente ne segna la rotta, ecco, tutto questo mi ha sempre lasciato profondamente interdetta, come a dover stare a guardare qualcuno che mi cammina addosso, che mi preme quei passi duri sullo sterno, ed essere costretta a lasciarglielo fare, senza fiatare, senza interferire.
Immagino che tutti prima o poi, facciamo i conti con questa dissonanza. Ed è proprio per questo che condivido con voi questa storia, che è la storia di tutti noi. La storia di “quanto tempo mettiamo nelle cose che dobbiamo fare” e di “quanto tempo poi ci resta alla fine per le cose che invece vogliamo fare”.
Abbiamo tutti un budget, e dobbiamo starci dentro. Metterci dentro tutto, gli affetti, il lavoro, le passioni, i viaggi, tutta la vita possibile, prima che lui scada, infischiandosene boraciferamente di tutto quello che ci era ancora rimasto da fare.
Questa storia, qui sotto, renderà tutti un po’ più consapevoli. Facendo una maxi somma, si è calcolato che investiamo 91.000 ore della nostra vita lavorando, e passiamo un anno intero bloccati nel traffico, addirittura 2 anni e mezzo chiusi nel bagno. Scegliete con cura il vostro lavoro, non buttate via il potere che avete di costruire dentro quegli anni qualcosa di buono, trovate ciò che sapete fare meglio e fatelo, non date retta a nessuno, perché il tempo vi appartiene davvero solo se siete capaci di metterci dentro voi stessi, altrimenti sarà lui a prendersi dentro voi, vi insaccherà e vi imprigionerà, in attese infinite, in attese che attendono che succeda qualcosa che vi venga a tirare fuori da lì.
Niente regola il tempo. Le lancette, gli orologi, i pendoli, non lo regolano, lo subiscono. Lo possiamo misurare, possiamo disegnargli addosso un grande numero, come a mettere un lenzuolo su un fantasma per riuscire a vederlo quando passa. Possiamo contare i suoi passi, come se sapere quanti ne ha fatti ci potesse far capire quanti ne restano, possiamo guardarci allo specchio e vedere le sue impronte sul nostro volto, possiamo inseguirlo, aspettarlo, sprecarlo, vestirlo con le nostre vite, ma prima o poi, si siederà sul ciglio del nostro letto, e ci restituirà quegli abiti, freddo e maledetto, abbasserà la bacchetta e l’orchestra smetterà di suonare, e tu, che avrai raccolto la tua ultima briciola di pane, lo guarderai volteggiare nel mantello dell’eternità, continuando a farti la stessa domanda.
Chissà dove va, il tempo.