A differenza dei concorrenti da decenni sparsi e radicatisi sul nostro territorio, KFC (Kentucky Fried Chicken), catena di fast food specializzata in pollo fritto e fondata a Louisville (Kentucky, USA) nel 1952, è riuscita a catalizzare la forte curiosità degli italiani, sicuramente a causa del suo carattere squisitamente americano e per una sorta di sua esclusività determinata dal fatto che questo brand in Italia non ha mai messo piede prima del 2014, anno di apertura dei due ristoranti di Roma e Torino: per questi motivi risulta di forte interesse il recente rebranding attuato da questa marca, sviluppato dall’agenzia newyorkese Grand Army.
Il cambio di identity si è delineato secondo una ripresa in chiave moderna dello stile grafico americano anni ’50, a ricordare non solo le origini dell’intera azienda, ma anche il pittogramma e la grafica adottati sull’originale bucket – secchiello di carta per servire il pollo, icona di KFC – del 1957: si palesa dunque la volontà di Grand Army di puntare, differentemente dalle principali concorrenti, sulla lunga tradizione del proprio cliente e valorizzarne i caratteri iconici.
Al centro di questo piccolo revival non poteva certo mancare l’immagine del fondatore della catena, capace di incarnarne pienamente i valori: il Colonnello Sanders; il ritratto di quest’ultimo, pittogramma del marchio KFC, ha subìto infatti un redesign terminato con il mantenimento della sola testa dell’uomo, completata dalla presenza dell’inconfondibile cravattino.
La sparizione dell’irregolare settore rosso che precedentemente appariva nel logo è stata adeguatamente bilanciata dal geniale riutilizzo delle eleganti bande rosse che riappaiono finalmente su tutte le confezioni e stationery di KFC, diventando la caratteristica più apprezzabile dell’intero rebranding. Le bande rosse continueranno a essere di fondamentale importanza anche nella caratterizzazione dei ristoranti, attraverso le tradizionali piramidi striate ornamentali, installate sui tetti di questi ultimi.
Il logotipo KFC completa la composizione del nuovo packaging e trova ottime possibilità di applicazione insieme alle bande.
La nuova grafica coordinata ha dato via anche a interessanti esperimenti di poster design che uniscono colore, tipografia e elementi grafici coerenti alla nuova comunicazione aziendale, tuttavia non in seguito implementati.
Particolarmente interessanti, in ultimo, le scelte adottate per la comunicazione mass-mediale dell’azienda: il sito internet americano, prima e unica web page KFC ad aver applicato il rebranding, ha preferito utilizzare, al posto di quello moderno, il primo marchio aziendale del 1952; negli spot TV, tuttavia, appaiono entrambi i marchi, accompagnati dal tradizionale payoff “It’s finger lickin’ good”, che ha sostituito il “So good” ancora utilizzato in tutto il resto del mondo.
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(Per le immagini e alcune informazioni, si ringraziano i siti brandemia.org e underconsideration.com)
ioCommento
La nuova identità grafica di KFC, cosa già detta per certi versi anche per il rebranding di Subito , è un esempio quasi archetipico di come un marchio possa raggiungere e superare la sufficienza quasi totalmente per merito della grafica a cui esso è coordinato.
La scelta di creare un revival dello stile anni ’50 è stato gestito quasi alla perfezione, cercando non di emulare il passato in un modo che avrebbe avuto quasi del caricaturale, ma ponendo la tradizione al servizio della nuova e pulita grafica vettoriale. Il metodo estremamente semplice di utilizzo delle tradizionali bande rosse e bianche, di uguale larghezza all’interno del packaging, risulta fortemente convincente e d’impatto, dando completamente nuovo valore all’iconico bucket.
In secondo luogo, credo che la parte più importante di questo rebranding sia determinata dall’analisi dei marchi: se da un lato il logotipo KFC non ha riservato sorprese, le leggere ma sostanziali modifiche sul pittogramma del Colonnello hanno generato alcune critiche: la decisione di lasciare solo il disegno in bianco e nero della testa di Sanders è certamente forte e, se non contestualizzato nelle sue applicazioni, il logo potrebbe apparire ragionevolmente incompleto; ulteriore problema riscontrabile in questo marchio, come nei vecchi da cui è tratto, è la poco piacevole pareidolia determinata dal cravattino: non è difficile infatti interpretare erroneamente il fiocchetto come un corpicino collegato ad una testa enorme e si sarebbe potuto benissimo risolvere questa ambiguità, con un redesign più attento di quello presentato.
Se i packaging progettati, secondo me, rasentano la perfezione, non mi è possibile dire lo stesso parlando della coerenza di applicazione della grafica all’interno della comunicazione web e TV. Il sito internet – caratterizzato dalla sostituzione dello scrolling verticale con lo slideshow orizzontale dei prodotti – non solo non convince attraverso il suo nuovo tema modulare, ma non fa propria nessuna delle bellissime caratteristiche del rebranding, confondendo per di più l’utente, presentandoglisi unicamente con un marchio che non è abituato a vedere; gli spot TV, criticati già mesi fa a causa del “ritorno” del Colonnello (interpretato da Darrell Hammond) sugli schermi, contribuiscono a generare questo stato di confusione, attraverso la compresenza di due marchi differenti e il disegno di un bucket diverso da quello che ha ispirato l’attuale: anche se l’idea dell’agenzia fosse stata quella di reintrodurre gradualmente il vecchio logotipo per sostituire la sigla, ritengo la soluzione scelta non molto apprezzabile, in quanto parecchio traumatica per l’osservatore.
In conclusione, la nuova grafica coordinata di KFC – nonostante le pecche segnalate – convince e affascina, rafforzando l’identità della catena e caratterizzandola con una decisione che solo una grafica semplice avrebbe potuto dare: ciò dimostra ulteriormente che la valorizzazione dei caratteri tradizionali di un’azienda, se coerentemente attualizzati, può essere una più che ottima soluzione di rebranding.